Risale a qualche tempo fa (era il 2019) l’amicizia tra i Gruppi dell’Associazione Nazionale Alpini di San Giorgio di Nogaro e di Treppo-Ligosullo, diventato Comune unico dopo la fusione degli originari Comuni di Treppo Carnico e Ligosullo.
Dai monti alla pianura, un centinaio di chilometri li separa, ma la forza della coesione, della collaborazione e, non di meno, quella dell’amicizia reciproca, hanno fatto sì che questi Gruppi siano più vicini di quello che sembra, nel pieno rispetto delle norme statutarie che, tra l’altro, stabiliscono di “tenere vive e tramandare le tradizioni degli Alpini, difenderne le caratteristiche, illustrarne le glorie e le gesta; rafforzare tra gli alpini i vincoli di fratellanza, solidarietà e disponibilità per aiutare, nel limite del possibile, chi ci chiede aiuto” e di “rafforzare tra gli Alpini di qualsiasi grado e condizione i vincoli di fratellanza nati dall’adempimento del comune dovere verso la Patria e curarne, entro i limiti di competenza, gli interessi e l’assistenza.
La giornata di sabato 16 settembre 2023 è iniziata con il ritrovo del Partecipanti presso la Sede Ana di San Giorgio di Nogaro, dove si è svolta la cerimonia dell’Alzabandiera, sulle note dell’Inno Nazionale e gli Alpini e le Autorità presenti hanno reso il rispettoso omaggio al Tricolore. Erano presenti il Sindaco di San Giorgio Pietro Del Frate, accompagnato dal Vicesindaco Daniele Salvador, l’Assessore del Comune di Treppo-Ligosullo Simone Delli Zotti. Gli Alpini, una quarantina, erano rappresentati dai rispettivi Capigruppo Davide De Piante e Sandro Craighero.
Dopo la cerimonia, un brindisi di benvenuto agli ospiti e la partenza per Marano Lagunare.
Marano, il più importante centro peschereccio della nostra Regione, è una cittadina di circa 1.800 abitanti, baluardo dapprima del Patriarcato di Aquileia e poi per molti secoli soggetta a Venezia, di cultura e parlata dialettale veneta, situata ai lembi dell’omonima laguna, le cui origini risalgono alla fondazione di Aquileia nel 181 a.C. e dove un drappello militare capitanato da Marius si è stabilito per la posizione geografica e strategica dal punto di vista militare. Si può desumere che dal nome del Comandante romano sia derivato il nome del paese, declinato in Marianum e, successivamente, in Marano.
Di questo fatto viene data da lungo tempo testimonianza con l’intitolazione di piazza Marii (di Mario), situata nel centro storico e prospiciente alla Torre, un tempo addobbata con un’elegante fontana, dismessa sul finire degli anni ’50 e formata da un pozzo monumentale e dai pennoni sui quali si innalzano gli stendardi della Comunità in occasione delle maggiori festività.
La visita di Marano ha avuto inizio dal porto turistico dell’isola Dossat che ospita più di 500 posti barca ed è dotato di una darsena banchinata, composta quasi interamente da attracchi galleggianti con i relativi servizi; la marina dispone anche di un pontile attrezzato per disabili.
Attraversata la passerella pedonale che collega il Dossat al centro abitato, si è proseguito con la visita al Museo della Laguna dov’è conservato il ricco patrimonio di testimonianze storico-archeologiche della cittadina lagunare e del territorio circostante. Offre al pubblico circa cinquecento reperti, esposti secondo un itinerario cronologico e tematico e in un'ambientazione appositamente studiata. Nel Museo Archeologico della Laguna di Marano, istituito nel 2007, si può compiere un viaggio alla scoperta della storia plurimillenaria della più antica laguna della Regione.
Oltre cinquecento reperti di varie epoche provenienti dal centro storico della cittadina, dal territorio costiero, dai siti sommersi e dalle isole della laguna, dai fondali marini a essa antistanti. La collezione, fruibile anche grazie alla presenza di supporti multimediali, testimonia l’importanza economica e strategica di un’area naturalmente portata, per la sua posizione “sospesa” tra mare e terra, al ruolo di crocevia di uomini e merci. Le collezioni spaziano da utensili e oggetti di uso comune, ad anfore per il commercio, fino ad armi tra cui una spada con tanto di fodero di mille anni fa e restituita dal mare e pipe in terracotta.
Le mappe redatte nel XVI secolo tramandano l'immagine di una fortezza a pianta trapezoidale con quattro bastioni circolari verso nord e uno poligonale a difesa del tratto sud. La strada che andava dalla porta alla pubblica piazza divideva a metà l'abitato e, ai due lati di essa, si dipartivano calli che sfociavano in campielli e corti: una fisionomia ancora rintracciabile nelle trame dell'attuale assetto urbanistico.
Proseguendo la passeggiata, si è giunti in via Sinodo, strada principale del centro interamente dentro le mura della fortezza che collegava l’uscita al mare e quella verso la terra, il cui nome ricorda la celebrazione di un importante avvenimento religioso del 590-591 d.C. e di cui ne dà notizia lo storico cividalese Paolo Diacono nella Storia dei Longobardi: “Facta est Sinodus decem Episcoporum in Mariano…”, un concilio scismatico con una ventina di Vescovi, alla presenza del patriarca Severo. Marano, per essere in grado di ospitare un simile consesso doveva essere una comunità cristiana già fiorente e doveva possedere chiese e strutture sufficienti allo scopo.
Dopo la decadenza dell’Impero Romano, Marano passò sotto il dominio del Patriarcato di Aquileia; tuttavia, escluso il periodo della convocazione del Sinodo scismatico del 590 d.C., la storia e le cronache non parlano più di Marano per diversi secoli.
Il nome di Marano ricompare nel documento “Privilegium Poponis” del 14 luglio 1031: il grande patriarca Popone, statista, guerriero, legislatore e riordinatore del dominio patriarcale aquileiese, volle il paese di Marano coma la più importante difesa del Patriarcato dalla parte del mare e la fortificò per mezzo di alti e robusti terrapieni, la dotò di mulini e saline e la favorì di particolari statuti.
Marano era un punto di forza contro i nemici provenienti dal mare, in modo particolare contro la Repubblica di Venezia che già da allora mirava a farla sua per avere il dominio incontrastato sull’Alto Adriatico.
La storia di Marano in questi secoli è una storia di lotte, di combattimenti, di assedi e di tradimenti, di rivolte e di sangue.
Il periodo che va dal 1420 al 1797, durante il quale Venezia, con i suoi Provveditori, ha esercitato la sua giurisdizione su Marano, è quello che può essere considerato come l’età aurea della Magnifica Comunità e che ha lasciato un solco profondo nel suo modo di essere e di manifestarsi fino ai nostri giorni. L’impronta di Venezia può essere vista sotto tre aspetti: quello urbanistico, quello linguistico e quello sociale.
Cessato alla fine del ‘700 il dominio veneziano, lo stato di salute della fortezza è andato sempre peggiorando per il mancato intervento nelle riparazioni. Allo scarso rilievo ed importanza che la fortezza viene man mano avendo, nell’800 si aggiungono anche le grandi epidemie del 1836 e del 1886 che decimarono la popolazione e che resero Marano, colpita dalla miseria e dalla scarsità di acqua, una località in cui era impossibile vivere.
Questi sono i motivi che nel 1890 costrinsero il sindaco Rinaldo Olivotto, uomo coraggioso e lungimirante, a chiedere e ad ottenere per la salute pubblica l’abbattimento delle mura che impedivano l’areazione e che facilitavano con l’acqua stagnante il ripetersi delle epidemie. Al Sindaco Olivotto, comunque, vanno riconosciuti i meriti per la realizzazione della pescheria, dell’acquedotto comunale e la predisposizione del regolamento municipale sull’uso e godimento delle acque comunali e sulla pesca approvato nel 1899.
Perdendosi tra le strette calli è stato possibile ammirare i resti delle antiche mura, la torre millenaria che si affaccia alla piazza e la Chiesa di San Martino che fu edificata tra il 1752 e il 1756 e consacrata il 24 giugno 1763. L'edificio venne poi ristrutturato tra il 1958 e il 1965, nonché ulteriormente abbellito in occasione del Giubileo del 2000 con le vetrate, legate alla storia religiosa, delle tradizioni e dell’economia di Marano.
La facciata presenta una nicchia con la statua del Patrono della Pieve San Martino a cavallo nell’atto di donare parte del mantello al povero; più in basso le nicchie con le statue dei Compatroni Santi Vito, Modesto e Crescenzia, martiri romani del IV secolo, ai quali è dedicata la tradizionale processione con le barche fino in mezzo alla laguna, ove viene impartita la benedizione delle acque e vengono ricordati i pescatori deceduti nello svolgimento della loro attività; l’evento religioso, al quale i Maranesi sono molto affezionati, si svolge ogni anno nella domenica successiva al 15 giugno.
La chiesa è composta da un'unica navata e in fondo si trova l'altare maggiore, costruito nel XVIII secolo ed impreziosito con marmi di vari colori con ai lati le statue dei Santi Marco e Giustina; dietro vi è collocata una pala raffigurante la Madonna con il Bambino di scuola veneziana; ai lati altri quattro altari con pale raffiguranti la Madonna del Rosario e Santi, San Giovanni Battista ed Apostoli, San Giuseppe con i Santi Antonio da Padova e Francesco e San Vito con S. Modesto, suo precettore e S. Crescenzia, sua nutrice, dipinte da Antonio Martinetti detto il Chiozzotto.
Inoltre, è stata fatta una descrizione sull’organo del 1774, opera del celebre organaro veneziano Francesco Dacci, costruttore anche dei preziosi strumenti di Gemona, di Mortegliano e di altri centri friulani, che è uno dei più grandi strumenti settecenteschi del Triveneto ed Emilia Romagna. Collocato in cantoria sopra la porta d’ingresso e periodicamente riparato e accordato, è composto da 27 canne di stagno, da due tastiere di 45 tasti (superiore Grand’Organo e inferiore Organo positivo) e da pedaliera di 17 tasti. Questo strumento accompagna il canto dei fedeli in tutte le celebrazioni della Pieve e viene suonato anche in occasione del Concorso Organistico Internazionale “Organi Storici del Basso Friuli”, di cui si sono svolte diverse edizioni, nonché in numerosi concerti organistici.
Oltre alla Pieve, la visita ha fatto tappa al Santuario della Beata Vergine della Salute, costruito tra il 1905 e il 1908 su progetto dell'architetto G. A. Vendrasco di Dolo: vi si custodisce nell'altare maggiore barocco, appartenente ad una precedente chiesa di ugual titolo, oltre alle statue di San Rocco e di San Sebastiano, la venerata immagine lignea della Madonna della Salute (secolo XVII) e una discreta collezione di ex voto moderni. I maranesi, molto legati alla Madonna della Salute, le dedicano ogni tre anni la Festa Triennale, con celebrazioni che si svolgono lungo tutto il mese di agosto, culminante nelle processioni pomeridiana e serale del giorno 15 con il trasporto solenne della venerata immagine al porto e, soprattutto, con il rientro notturno della statua tra preghiere e canti e il crepitare dei fuochi d’artificio.
La cittadina di Marano sorge nel luogo di un’antica fortezza, baluardo dapprima del Patriarcato di Aquileia e poi per molti secoli soggetta a Venezia. Il centro storico ne conserva memoria nel suo impianto urbanistico che, nella struttura portante, è rimasto identico, soprattutto tra via Sinodo e Piazza Vittorio Emanuele II.
In quest’ultima piazza, centro del paese, si può ammirare la Torre patriarcale del XV secolo (la parte superiore con la cella campanaria è un rifacimento del 1911) robusta e massiccia, nella quale sono murati stemmi e busti di Provveditori veneti che, insieme a quelli che si trovano negli edifici che circondano la piazza, costituiscono una vera e propria antologia di ritratti.
Di scultori di buone capacità sono i busti secenteschi di Nicolo Gradenigo (1620), Pietro Bernardo Bembo (1660), Vincenzo Bragadino (1673), Zaccaria Bernardo (1673), Bernardino Contareno (1677).
Nata per scopi liturgici, la torre fu adoperata come carcere (secolo XVI) e come osservatorio della fortezza. Nella stessa piazza, altri due edifici di notevole importanza storica: la Loggia dell'inizio del secolo XV (con due pesanti aperture ad arco gotico) ed il Palazzo dei Provveditori, anch'esso databile al XV secolo.
La giornata a Marano degli Alpini di San Giorgio e di Treppo-Ligosullo si è protratta nella riserva naturale regionale di Valle Canal Novo, un'area naturale protetta di 121 ettari, costituita da un'ex valle da pesca, dalla quale prende il nome, da un'area lagunare - il Corniolo - e da alcuni terreni seminativi: è un ecosistema naturale complesso, comprensivo di ambienti umidi e acque a vario grado di salinità. Consumato il pranzo a base di pesce, si è proseguito con la visita alla Riserva, che include percorsi lungo passerelle di legno immerse nella natura (su modello dei “Wetlands Centres” anglosassoni), edifici per il ristoro e la didattica, alcuni dei quali realizzati mantenendo la tipologia tradizionali dei casoni locali della laguna. All'interno della Riserva è possibile anche visitare l'Acquario Lagunare per conoscere più da vicino i principali habitat lagunari.
Gianni Falcomer